We are two breaths vibrating close together

Porto Alegre, Brasile

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    Burnstine is always, my friend.

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    Non c'era stato modo di trattenere Viktor Ignacio Felix Oliver Stine - conosciuto da sempre come Vik - dall'acciuffarsi quella missione, fin da quando la pratica era stata depositata sulla bacheca del dipartimento Auror di Londra. In realtà, quella avrebbe dovuto passare prima dall'ufficio dei caposquadra ma, avendo a sua disposizione infinite conoscenze all'interno del ministero inglese, Viktor era riuscito a sapere di quella missione prima ancora che anche la Black o Olwen venissero a conoscenza di quella impresa. Una cosa abbastanza strong, in cui le manovre prese all'ultimo secondo non erano semplici scelte ma vere e proprie catene che, alla fine, avrebbero coinvolto tutti i partecipanti.
    Si richiedeva l'esperienza di auror veterani, a dirla tutta, ma i decrepiti non facevano mai una buona fine in viaggi come quelli e quand'anche ve ne fossero stati, Viktor li avrebbe obbligati a restare dietro la scrivania dell'ufficio a compilare scartoffie che avrebbero richiesto una sacrosanta mano di individui con una certo bagaglio culturale - come se firmare moduli e notificare atti di malavitosi, fosse materia di laurea. In fin dei conti, era un abile e scaltro bugiardo quando voleva. Sua madre e suo padre, che Merlino li avesse avuti sempre in gloria, erano stati i primi esperimenti su cui strutturare quel lato di Viktor. Piccole bugie dette a fin di bene, spesso e volentieri anche a discapito dei suoi fratelli - gemello incluso - che finivano sempre col sorbirsi ramanzine che, invero, sarebbero spettate a lui. L'unica a cui aveva sempre risparmiato quella pratica, era stata Hollie la sua sorellina, l'ultimo battito degli Stine-Alarcon a venire al mondo - Viktor avrebbe sempre ricordato i suoi vagiti come il ricordo più bello che possedeva la sua mente - ma la punta di diamante su cui tutta la famiglia si ergeva a protezione, in vista di pericoli imminenti.
    Alle volte credeva che la sorellina fosse in realtà una santa, per tutta la pazienza che portava con i suoi fratelli maggiori; papà Oliver non smetteva mai di parlottare da solo, andando avanti e indietro davanti al camino di villa Stine nonostante alle Hawaii facessero quaranta gradi per trecentosessantacinque giorni all'anno, quando sapeva che la sua unica figlia doveva uscire con un ragazzo. Un incompetente alto quanto lo sterco di un Chupacabra, era la definizione che era stata affibbiata da Stine senior, quando Hollie era uscito con Partimyus McPain, uno dei figli di amici di famiglia con cui la sorellina era uscita una sola volta.
    Cavolo, quando si immaginava padre - in un lontano futuro - si vedeva esattamente uguale a suo padre: un leone che perlustra personalmente i confini del suo territorio, minacciando tutti con il suo solo sguardo predatore quanto furibondo e protettivo al massimo con la sua famiglia; la vita avrebbe dovuto risparmiare il mondo dal vederlo padre di una o più figlie. Avrebbe preso in considerazione seria l'idea di chiuderle in convento fino a menopausa inoltrata, lontana dalle grinfie di ragazzi che si approfittavano della bontà e dalla gentilezza delle Stine, elementi caratteristici sia della sorella che della nonna materna.
    Il ricordo del primo abbraccio con la sorella, tra l'altro, era anche stato il ricordo più felice a cui ricorreva frequentemente quando doveva evocare il suo patronus. Che gioia, quando lo aveva evocato al suo quinto anno e che abbraccio aveva dato alla piccola Hollie quando era tornato a casa, come silenzioso ringraziamento, per le vacanze di Natale!
    Ad ogni modo, sbaragliando una serie di regole che vigevano al dipartimento, la missione aveva finito col prenderla lui e non contento di quella bravata aveva schiaffeggiato tutti i colleghi con quella pergamena. Perfino quando era giunto in prossimità di quella fiamma, fautrice di sogni ed incubi insieme nei suoi rari sonni notturni, aveva esibito un largo sorrisone da faccia di culo e aveva sventolato la pergamena con fare vittorioso. Ma era stato proprio lì che lei, aveva deciso di sfidarlo. Non sapeva mai, nonostante non fossero sconosciuti, quando la corvina scherzava o quando le sue labbra proferivano verità, anche se sotto forma di sbeffa. E lui, da bravo salame quando si trattava di debolezze romantiche, ci era cascato in pieno.
    Era stato l'inizio della fine.

    Porto Alegre era una delle città brasiliane più popolate.
    Il loro target era stato avvistato in prossimità della sua abitazione: una villa appariscente, degna di un ricco magiimprenditore quale era, nella periferia della città. Il clima era impervio, tipico di quel lato tropico del mondo ma altrettanto lontano dagli sbalzi termici cui il termometro sarebbe slittato, alle Hawaii. Il posto in cui Viktor era cresciuto e alla quale erano legati infiniti ricordi; era stato anche per la vicinanza a casa sua che aveva 2rubato" quella missione a qualsiasi altro collega avesse voluto proporsi. Indossava una canotta nera, un jeans blu scuro strappato ai ginocchi, un cappellino portato con la visiera sulla nuca e due anfibi ai piedi, ideali per missioni come quella che stavano svolgendo loro.
    Sicuro che la corvina fosse dietro di lui - anche se solitamente accadeva il contrario, in circostanze meno professionali - attese dietro l'ombra di un cespuglio, col sole morente in quel manto di cielo in cui rosa e arancio danzavano le note di un amore proibito. «Hai cambiato marca di crema solare, Jessie domandò all'improvviso, un mezzo sussurro appena che spezzava la melodia di quegli uccelli esotici che stavano appollaiati in cima a quegli alberi altissimi che sorgevano attorno e dentro la villa. Gli occhi azzurri svettarono sulla bellezza che aveva deciso di accompagnarlo in quella missione; la guardò con la punta degli occhi, le narici avviate verso una pratica che avrebbe voluto essere più concreta. Vicina e reale. «Cazzarola ho pestato qualcosa... ewww, attenta, qui dietro è pieno di sterco di Fire crab. Devono usarli per il traffico di gemme preziose, i bastardi. O magari ci pagano le povere fanciulle ignare dei traffici dei malavitosi che frequentano» ipotizzò, mentre cercava di ripulire l'anfibio destro da quella palla di sterco che aveva appena pestato con tutto il suo peso.
    Svoltò le iridi azzurre a destra, là dove aveva sentito un rumore secco. L'ergersi di un felino spelacchiato, dissipò ogni dubbio. Anche se...
    «Aspetta... come facciamo ad essere sicuri che non sia una guardia versione animagus?»
    Era roba da restarci secchi, la trasfigurazione. Un momento prima credevi di aver visto un innocuo micetto tutto coccoloso con gli occhi a cuoricino; l'attimo dopo l'ultima cosa che i tuoi occhi avrebbero visto, era un lampo smeraldo e la tua anima che lasciava il tuo corpo.
    «Restami incollata Jessie, il pericolo potrebbe essere dietro ogni mattone qui dentro» disse, cercando l'altra con lo sguardo. E quella fu l'ennesimo colpo al cuore: una bellezza talmente mozzafiato da fargli venire i brividi al solo guardarla; il solo osare guardarla era fonte di eccitazione, le iridi d'ebano di lei che mischiavano insieme complicità e serietà. Due componenti che, in quel momento, vennero meno nello Stine. Ora vicinissimo, forse anche troppo, alla sua ex collega.
    «Potrebbe essere la nostra ultima missione insieme. Me lo dai un bacino di incoraggiamento
    Se i suoi occhi avessero potuto uscire dalle orbite, lo avrebbero fatto - tale era la gioia che provava ad averla di fianco. Era ben allenata, preparata ad ogni evenienza, sicura dei suoi movimenti e per di più femme fatale, all'occorrenza.
    Se non fosse morto in missione, probabilmente ci avrebbe pensato Jess a ficcargli il buonsenso in testa, in una situazione seria come quella che si apprestavano ad affrontare.

    Giadì



     
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    Il Brasile.
    Portava indelebili segni di quel giorno di tanti anni prima, l’ultima volta che si era addentrata nell’immensa foresta brasiliana.
    Erano dolorosi i ricordi di quel giorno ed ancora bruciavano come fuoco sulla pelle tramite quelle sottili cicatrici, ormai biancastre, che le percorrevano il cinquanta percento del corpo. Quando il tempo era avverso o quando emozioni forti ardevano dentro di lei, quelle dannate imperfezioni, le divoravano la carne.
    Aveva giurato di non tornarci mai più. Avrebbe preferito rimanere lontana da quel posto per tutto il resto della sua vita, avrebbe voluto che rimanesse solamente un brutto ricordo, sepolto nel suo terrificante passato, ma purtroppo sapeva che quello non sarebbe potuto durare per sempre. Prima o poi ci sarebbe dovuta tornare, per un motivo o per l’altro.
    Mentre firmava quel foglio, le tornarono in mente le ore passate con l’Olivander, la sua promessa di accompagnarla in missione, se ve ne fosse stata l’occasione. Avrebbe dovuto solamente formare una squadra idonea per ritornare su quel luogo sacro e spezzare la maledizione che l’aveva resa così. Le cicatrici, forse, sarebbero rimaste per sempre… ma ogni traccia del potere della Lupuna, che aveva preso lei come oggetto del suo odio, anche se aveva avuto l’unica colpa di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato, probabilmente poco dopo un’altro mago, che aveva terribilmente fatto arrabbiare l’entità.
    Aveva già una mezza idea su chi avrebbe dovuto e voluto portare con sé durante una missione che si sarebbe rivelata molto più pericolosa di quello che avrebbe voluto. Oltre a Tiberius, chiaramente, aveva chiesto al suo Maestro Renan, un uomo del quale aveva imparato a fidarsi nonostante il carattere così schivo. Aveva chiesto ad Artorius, un tiratore scelto che non conosceva davvero prima di allora. Lo aveva chiesto a Mallory, una caposquadra che sembrava così affine a lei. Ma anche ad altre persone, che si attorcigliavano in una lista nella sua testa; doveva capire se ci fosse qualcun altro con il quale avrebbe rischiato la vita. Doveva valutare ogni alternativa, non poteva permettersi di mettere in pericolo vite inutilmente. Nessuno doveva morire, non a causa sua.
    Sospirò, mettendo il punto alla sua firma. Non si capacitava di che cosa l’avesse spinta ad apporre il suo nome su quella sottile riga, che l’avrebbe portata molto vicina al luogo che popolava i suoi incubi, anche se fortunatamente non era lo stesso. Ma trovarsi in Brasile, le metteva ugualmente i brividi, nonostante tutto quello che di bello avesse da offrire.
    Scrutò bene il foglio, fino ad individuare il nome del ragazzo che aveva firmato poco sopra di lei. Un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra, era lo stesso di quel ragazzo che aveva conosciuto tanto tempo prima, quello con il quale aveva condiviso così tanto e perso altrettanto. Ma non poteva essere lo stesso, anche perché non ne conosceva il cognome. O non se lo ricordava.

    Era proprio lui, invece.
    Nonostante il passare del tempo, il ragazzo aveva gli stessi lineamenti e lo stesso sorriso che ricordava, quello stesso che si era spento durante quella terribile missione. Spento inesorabilmente.
    Per non parlare degli occhi, espressiva quanto li ricordava. Erano stati il suo punto debole, quando aveva soggiornato a Castelobruxo il tempo necessario per uno scambio culturale che non si era mai concluso, a causa proprio di quell’avventura infausta.
    Non si immaginava di rivederlo e, se anche lo avesse fatto, sicuramente non in quelle circostanze. Non nell’ambito di una missione, dove tutto dipendeva dall’aiuto reciproco che ci si dava. Jess non aveva idea dei sentimenti che provava per il ragazzo: erano confusi ed erano contrastanti. Perché era sparito nel nulla? Gli aveva raccontato che suo padre era uno importante, che aveva tanti contatti, quindi perché non l’aveva mai cercata? Sebbene da un lato fosse felice non lo avesse fatto -per non farle tornare alla mente vecchi ricordi- dall’altro lato, non se ne capacitava. Ed alla fine, si erano ritrovati nella stessa missione. Il che voleva dire che ora lavorava come auror per il Ministero inglese. Non lo aveva mai visto perché fino a quel momento, Jessica aveva accettato qualsiasi incarico possibile ed immaginabile pur di tenere la mente impegnata, lontana da tutti i pensieri che la assalivano giornalmente e che avrebbero dovuto star ben lontani dalla mente di una venticinquenne.
    Comunque, adesso erano assieme. Lo stava seguendo lungo le popolose strade di Porto Alegre, una delle città più demograficamente importante della nazione.
    Aveva metà del cervello concentrata sulla missione, mentre metà era concentrata sul ragazzo che avevano davanti. Stavano cercando un uomo che era stato avvistato molto vicino a casa sua -che cosa insolita, vero?-, ma non riusciva a concentrarsi totalmente. Iniziò a pensare che fosse stata una cattiva idea. Avrebbe dovuto cancellare magicamente il suo nome da quel dannato foglio. Perché diamine non si era iscritto nessun altro? Eppure pensava ci sarebbe stata la fila, per partecipare.
    Il clima era completamente diverso da quello londinese. C’era un’afa quasi insopportabile, che le incollava i vestiti alla pelle, ma pioveva anche. Ci dovevano essere almeno ventisette gradi, ma ne percepiva almeno il doppio. Era una sensazione orribile, soprattutto perché le cicatrici non facevano che pulsarle dolorosamente ad ogni passo, come se volessero ricordarle di stare al proprio posto, che nella sua vita avrebbero sempre comandato loro.
    Forse era anche per questo che non era sicura di essere contenta della presenza di Viktor lì: lui era stato preservato da quell’orribile destino. Certo, non ne era uscito illeso, come nessuno. Ma solo a lei era stato riservato il peggio che la Lupuna potesse offrire.
    Si erano fermati all’ombra di un cespuglio. Come lui, anche Jess indossava una canotta nera, ma al posto dei jeans aveva indossato dei pantaloni dello stesso colore, che aderivano alla pelle e non le impedivano i movimenti, un paio di scarponcini e degli occhiali da sole che ne coprivano gli occhi del colore dell’opale nero. Profondi come una grotta senza fine.
    Non gli aveva rivolto la parola per tutto quel tempo, aveva incassato la notizia della sua presenza con remissivo silenzio, incerta su cosa dovesse provare. Aveva preferito chiudersi a riccio… almeno finché non fu lui a spezzare quell’ermetico silenzio. La sua frase, però, non fece altro che aumentare l’irritazione causata dalla sua presenza e dal persistente ed umidiccio dolore che sentiva agli arti colpiti dalla maledizione.
    Si sollevò gli occhiali sulla nuca, inarcando un sopracciglio, incerta su quale avrebbe dovuto essere la risposta.
    «Per te sono l’auror Whitemore» Impose, rimpiangendo l’elegante educazione che aveva avuto il Parker solamente qualche giorno prima. Era oltremodo affascinata dal rispetto non dovuto che le aveva portato, all’inizio della loro conversazione.
    Osservò il bracciale serpentesco avviluppato attorno al suo polso. Da quando l’aveva ottenuta, non si era mai più separata dalla sua amata frusta, che aveva rinominato Flagrum. Flagello.
    Preferiva quando il silenzio era rotto solamente dagli uccellini che cinguettavano allegri, ignorando il tempo assurdo di quel posto. Soprattutto perché aveva dimenticato le sue uscite piuttosto bizzarre e nient’altro che delicate. Sbuffò sonoramente, scuotendo la testa.
    «Uccidilo e lo scoprirai» Propose con cinica freddezza, riferendosi a quel felino che, nonostante lui considerasse spelacchiato, per lei era maestoso. Si chinò, ugualmente, per non farsi vedere da quegli occhi attenti, così abituati alla caccia. Non lo avrebbe davvero ucciso, ma le risposte caustiche erano l’unica soluzione che aveva trovato per erigere un muro attorno al cuore.
    «Non ho bisogno di una badante, auror Stine» Commentò, sottolineando il titolo, mentre i loro sguardi si incrociavano. I sentimenti ribollivano al suo interno e tra loro spiccava anche il desiderio di dare un taglio netto al passato ed a tutto ciò che glielo ricordava, compresa la presenza del ragazzo. Era doloroso, forse. Ma necessario.
    Jessica era un’abile duellante, sapeva affrontare qualsiasi pericolo… ma quando si trattava di sbrogliare la matassa dei suoi sentimenti, preferiva rinunciarvi.
    Alla sua successiva frase, dopo aver alzato gli occhi al cielo, sfoderò la bacchetta e gliela puntò direttamente contro il petto, lo sguardo feroce, combattuto.
    «Non tirare troppo la corda, sei praticamente uno sconosciuto, per me» Lo ammonì, mentre tantissime immagini le si affollavano nella testa. Se avesse potuto e voluto, avrebbe scagliato l’incantesimo di Magia Nera che le aveva insegnato Jago. Non ci avrebbe pensato più di un battito di ciglia.

    «Parlato»
     
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