I caught insomnia from looking at the moon

10/04/2024 | Hollie e Ragnar

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    Le vacanze di Pasqua erano finite da appena qualche giorno e Cammie era tornata ad Hogwarts piena di dolcetti cucinati da sua madre Ester e delle raccomandazioni di suo padre Oliver.
    La sua era una famiglia enorme e molto apprensiva, ma a Camilla andava bene così, perché non si era mai sentita sola fin da quando aveva emesso il primo vagito, circondata dai volti dei fratelli maggiori. Si rendeva conto di essere stata tremendamente fortunata, anche se a volte si ritrovava a chiedersi perché non potesse essere figlia unica… ma aveva presto e sempre ricacciato quel pensiero, rimproverandosi di non apprezzare completamente ciò che aveva. Forse era anche per questo che quando vedeva qualcuno da solo, senza domandarsi se stesse bene così oppure no, tendeva ad avvicinarlo ed interagire con lui… per farlo sentire meno solo.
    Quella mattina, però, era lei quella che aveva bisogno di solitudine… così aveva scelto le prime luci dell’alba, quando il sole ancora faticava a sorgere, preferendo rimanere a dormire ancora un po’ dietro le imponenti montagne che circondavano il castello.
    Tornare a casa dalla sua famiglia era sempre un piacere, perché tutti i suoi fratelli avevano finito la scuola, quindi poteva vederli solamente durante le vacanze e le mancavano molto, ma era anche una sfida… perché assieme ai suoi fratelli, avrebbe dovuto rivedere anche Vincent. Era un genio nel campo degli incantesimi, quindi si stava adoperando per assorbire il massimo possibile dalle sue lezioni, ma ogni volta che lo vedeva, la situazione peggiorava sempre di più. Sopportava per un suo tornaconto personale ma anche perché lui l’aveva velatamente minacciata di non pensarci nemmeno di non presentarsi ai loro incontri.
    Mentre camminava in direzione del lago nero, rabbrividì al pensiero del loro ultimo incontro, quando l’aveva salutata prima del rientro ad Hogwarts. Un abbraccio più lungo e viscido di qualsiasi altro avesse mai dato in vita sua.
    Addentò un biscotto con le gocce di cioccolata, ormai a poca distanza dalla riva del lago, illuminato da una debole luce dorata, segno che il sole stava iniziando piano piano la sua ascesa. Avrebbe voluto sedersi sulla panchina posta sotto un salice piangente, quindi si diresse in quella direzione, quando nel suo campo visivo iniziò a comparire una sagoma, perciò rallentò il passo, facendo fermare anche Tank, il suo piccolo Jack Russell che aveva iniziato a trotterellarle attorno alle caviglie.
    Lentamente, comunque, si avvicinò fino a scorgere una chioma di ricci scuri ed il profilo di un viso.
    Si lasciò cadere affianco a Ragnar senza dire nulla, in un primo momento. Ma poi decise di rompere il silenzio.
    «Ti piace l’alba?».
    Stavolta ruotò il corpo fino ad avere la gamba piegata sulla seduta della panchina e le iridi attente, puntate sul viso del concasato. Il suo sguardo era serio, come se dovesse confidargli una cosa di immensa importanza.
    «Vuoi un biscotto?» Fu quello che invece gli chiese, posando sulle ginocchia del ragazzo il contenitore pieno di cookies che sembravano appena sfornati. Il volto del ragazzo, baciato dalle prime luci dell’alba, era così perfetto che avrebbe voluto fotografarlo ed utilizzarlo come illustrazione per qualcuno dei suoi libri. Restò a fissarlo per una quantità indecente di tempo, prima che si rendesse conto che avrebbe potuto risultare un po’ molesta. Quindi tornò ad osservare il lieve schiarirsi del cielo.


     
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    Le vacanze di Pasqua sono finite, Ragnar, ma per te è come se non fossero mai iniziate.
    Non sei tornato a casa. In fin dei conti non hai una vera casa a cui tornare, ma solo un posto che ti ha accolto per soldi e per dovere.
    Non hai niente lì, non hai nessuno. Ecco perché, come ogni anno, prima in Russia e, dopo il trasferimento, qui in Inghilterra, hai preferito rimanere a scuola.
    È bellissima Hogwarts quando si svuota, non è vero? C’è così tanto silenzio, così tanta calma che sembra un altro mondo.
    Hai sfruttato la pace per esplorare ancora meglio il castello, per studiare, per suonare e per scrivere. Hai scritto tanto e lo stai facendo anche adesso.
    Hai lasciato il dormitorio quando ancora le luci dell’alba erano più vicine alla notte. Ti sei seduto su quella panchina davanti al lago, hai poggiato i piedi sulla seduta, il tuo quadernino sulle cosce e hai scritto, mentre percepivi le ombre intorno a te muoversi, giocare a rincorrersi mentre la luce cambiava.
    Le hai afferrate e te le sei strette intorno alle spalle come un mantello caldo. Non ti sei occultato completamente, dall’esterno devi sembrare soltanto più cupo, non che sia molto diverso da come appari di solito.
    Le tenebre sono dentro di te, sono parte di te.
    Stai riflettendo sul finale della scena che ti porterà a concludere il capitolo quindici del tuo romanzo fantasy. Hai la penna infilata nei ricci e la ruoti, scompigliando ancora di più quella massa informe di capelli che circondano il tuo viso, quando senti dei passi dietro di te. Sposti soltanto le iridi ambrate quanto basta per scorgere una figura prendere posto al tuo fianco.
    Incroci lo sguardo zaffiro del volto familiare di Hollie. Non parla, quindi ritorni a intrecciarti la ciocca intorno alla penna, mentre la scena si dipana davanti a te.
    Premi la penna sul foglio e scrivi.
    «Ti piace l’alba?»
    «Un secondo sennò la perdo» dici, continuando a scrivere.
    Solo quando metti il punto, con un respiro richiudi il quaderno e alzi il capo verso la ragazza.
    Annuisci. «Amo l’alba, come il crepuscolo. Le ombre sono particolarmente agitate in questi momenti della giornata.»
    Molto probabilmente non capirà. A meno che qualcuno non si informi al Ministero, nessuno sa della tua capacità. Tuttavia, tu sei cosi, Ragnar. Parli sempre dando per scontato tutto, come se quello che conosci tu lo conoscano anche gli altri.
    «A te?» ricambi la domanda.
    Poi lei tira fuori dei biscotti, li guardi per qualche secondo. Sembrano buoni.
    «Vuoi un biscotto?»
    Ti limiti ad annuire due volte, poi ne afferri uno e te lo porti alla bocca. Lo mordi e con uno schiocco secco ne mastichi un pezzo. I tuoi occhi ambrati si fermano su quelli di lei.
    «Buoni.» La tua espressione è piatta come sempre, ma le tue iridi brillano un po’ di più.
    Noti che lei ti guarda intensamente e tu fai lo stesso. Non provi il senso di vergogna o pudore. Sei così estraneo da tutti questi costrutti sociali che ti stanno pure stretti, da non comprenderli.
    Per la verità, non comprendi neanche come mai ti stia fissando in quel modo, ma tu ricambi comunque, mentre continui a masticare e mangiare, come se fosse buona educazione non interrompere il contatto.
    Percepisci le ombre sulla pelle di Hollie muoversi, e sai che il sole è prossimo a spuntare. Anche la luce cambia sul suo volto e gli occhi le brillano con più forza, sotto la nuova luce. I lineamenti delicati sono perfetti.
    Quando poi lei distogli lo sguardo, tu indugi per qualche secondo sul suo profilo.
    «Giusto» sussurri. Apri la pagina del tuo quaderno, al prologo del tuo libro, e gliela passo. «Cosa ne pensi. Non mi offendo, sii cattiva, se devi.»
    Potrà vedere la determinazione nei tuoi occhi. Chi meglio di una scrittrice può farti comprendere se la tua scrittura è pronta alla pubblicazione o meno? Volevi farle leggere qualcosa di tuo da quando hai scoperto chi fosse Esmeralda Camilla Stine, in arte “Hollie”.

    Prologo
    Alexander Astraeus Invictus – fa ancora fatica ad abituarsi a quel nome – apre la porta di casa e raggi di sole gli si conficcano come spilli roventi nelle iridi. Assottiglia le palpebre.
    Una sagoma d’ombra si staglia in controluce come un dipinto nero su tela bianca.
    «Ci ho impiegato più tempo del previsto, perdonami…» È la voce di una donna, dolce, a tratti malinconica, quasi familiare.
    Qualcuno del passato? Alexander inclina appena il capo e solleva una mano sopra gli occhi, per proteggersi dal sole. Che fastidio.
    Due battiti di ciglia e intravede nella luce il sorriso abbozzato della persona che ha bussato alla sua porta. Capelli biondo cenere brillano nel riflettere la luce diurna. L’ha già vista nei giorni scorsi, dopo che si è risvegliato, ma è la prima volta che parlano.
    Alexander afferra il bordo della porta aperta. «Ci… conosciamo?»
    «Ci conoscevamo, sì.» Annuisce lei. «Molto bene anche. Posso entrare?»
    Lui corruga la fronte. Quindi è davvero qualcuno del passato… Prende un respiro.
    «Certo…» Butta fuori l’aria. «Ma mi perdonerete se non riesco a ricordarvi.»
    «Non importa.»
    Alexander si fa da parte e la donna che sfugge alla sua memoria varca l’uscio. I passi risuonano sul pavimento in marmo, una scia di lasminum si diffonde al suo seguito: il profumo di gelsomino è inconfondibile. Varca il corridoio che porta all’atrium e la luce bianca dei cruolumi alle pareti ne schiariscono la figura elegante.


    «Parlato»


    Quello che leggi è davvero l'inizio del prologo della romanzo che ho in WIP lol
     
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    Cammie, da sempre, era incuriosita da chi -come lei- aveva ricevuto il dono della passione per la scrittura. Trovava che fosse stata graziata con quell’attività che le donava così tanta pace, capace di allontanarla dai problemi insidiosi del quotidiano.
    Ragnar era uno di questi. Infatti, anche quel giorno, aveva in grembo un quadernetto che doveva contenere tutte le sue idee ed i suoi pensieri che, presto o tardi, si sarebbero trasformati in un libro che lei avrebbe sicuramente comprato. Oltre che sostenere i suoi amici -erano amici, no? Non che avessero mai chiarito il punto- era sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e stimolante da leggere.
    Annuì alla sua richiesta senza trovarla insolita, perché era quello che succedeva a lei ogni volta che apriva il suo taccuino per iniziare un nuovo capitolo.
    «Agitate?» Domandò, inarcando un sopracciglio, non capendo esattamente che cosa volesse dire, ignorando il fatto che condividessero una particolare abilità, anche se su due elementi diversi. Ma, in un certo senso, poteva capirlo. Non sapeva, però, se fosse il momento di svelarlo… quindi preferì aspettare ancora un po’, giusto per capire dove li avrebbe portati quella conversazione.
    «Mi trasmette calma» cominciò, per rispondere alla sua domanda. «Non siamo mai davvero soli, c’è sempre qualcuno in giro… tranne quando sorge il sole e la maggior parte delle persone ancora dormono. E’ uno dei miei momenti preferiti» Spiegò quindi, accennando un sorriso. Adorava ascoltare i propri pensieri senza interferenze esterne ed il silenzio di quel momento, era esattamente quello che lei ricercava sempre più spesso.
    Quindi, gli offrì i suoi biscotti. Non fece domande su cosa stesse scrivendo, aspettò che fosse lui stesso a parlargliene, in quanto a lei stessa non andavano a genio le domande troppo invasive sui suoi lavori. Preferiva coloro che si sedevano ed attendevano pazientemente… perciò pensò che lui avrebbe gradito la stessa cortesia.
    «Li ha fatti mia madre» Spiegò guardando ora il contenitore, ora il ragazzo, apprezzando come il fresco sole mattutino gli accarezzasse le forme del viso. Non era una pittrice, ma se lo fosse stato, avrebbe certamente tirato fuori le tele ed i colori per imprimere per sempre quel momento nella storia. Romantico? Forse, ma era “colpa” di un momento solenne come quello che stavano vivendo.
    Smise quasi di respirare nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, per paura di rompere in qualche modo la calma soave che era calata -come una cappa- sull’intero castello.
    Fu lui a rompere il silenzio, ma lo fece con calma, a bassa voce. Non le diede fastidio.
    Piuttosto, fu incuriosita dai suoi momenti ed attese che aggiungesse qualcosa.
    Prese con delicatezza il quaderno che lui le stava porgendo, sentendosi emozionata più di quanto avrebbe mai potuto percepire chi, con il mondo della scrittura, non c’entrava nulla. Era un onore, per lei, che il riccio avesse deciso di condividere con lei in anteprima qualcosa che i più avrebbero potuto leggere solamente una volta finito, come se le importasse la sua opinione. Dopo aver scorto la determinazione nei suoi occhi, abbassò la testa e cominciò a leggere quelle righe iniziali.
    Ci mise più tempo di quanto quel paragrafo avrebbe normalmente richiesto, tuttavia ci teneva a soffermarsi un secondo in più su ogni frase, apprezzandone la prosa e l’eleganza.
    Quando ebbe finito, lo chiuse con la stessa delicatezza con la quale lo aveva afferrato in precedenza, tornando a porgerglielo.
    «Che poetico…» Sussurrò, per non spezzare la magia, gli occhi che le scintillavano come due stelle. Il suo genere era completamente diverso da quello che scriveva lei, ma non per questo non fu capace di comprenderlo.
    «Mi piace davvero tanto» Affermò con decisione, prendendo un biscotto a sua volta, facendo attenzione a non far cadere le briciole sul quaderno di lui, rischiando di sporcarlo con il cioccolato. Incrociò le gambe sulla panchina, piluccando a piccoli morsi quel disco irregolare, riflettendo su qualcosa.
    «Sei bravo» Aggiunse dopo qualche minuto di silenzio. Incrociò le gambe sulla panchina ed osservando il sole che completava la sua ascesa, illuminando ancora debolmente tutto il paesaggio.
    «Hai già pubblicato qualcosa? Se sì, mi piacerebbe leggerlo» Domandò, alzandosi in piedi e voltandosi verso di lui, osservandolo dall’alto. Era ancora presto, perciò non si era messa la divisa, preferendo indossare i suoi abiti ”civili” e con i quali si sentiva davvero se stessa.
    «Ti va di fare una passeggiata?» Domandò allora, allargando le braccia ed avvolgendo simbolicamente tutto il paesaggio, apparentemente avvolto da una patina d’oro.

     
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    Quando hai scoperto che Camilla era una scrittrice, la tua insaziabile curiosità si è fatta vorace.
    Una scrittrice si trovava nella tua stessa scuola. Una ragazza come te, con la tua stessa passione, già pubblicata e con una pletora di lettori ad apprezzarla.
    Avevi preso il tuo Magifonino e avevi cercato informazioni. Hollie, avevi letto e poi il titolo della sua serie “Piccoli magibrividi”.
    Non hai aspettato neanche un attimo e ti sei procurato i libri, li hai letti uno a uno e sei rimasto profondamente ammirato.
    Ammiri Hollie, anche adesso che siete seduti uno di fianco all’altro, l’ammiri. Forse non si vede, forse non sembra, ma è così. Non avresti mai desiderato di farle leggere qualcosa di tuo, altrimenti. Non lo hai mai fatto con nessuno.

    «Agitate?»
    Annuisci, come se fosse la cosa più chiara del mondo. «Esatto, agitate.»
    Non specifichi, perché sei certo che abbia capito. Peccato che, Ragnar, nessuno avrebbe potuto capire, neanche il più grande genio della terra.
    «Mi trasmette calma. Non siamo mai davvero soli, c’è sempre qualcuno in giro… tranne quando sorge il sole e la maggior parte delle persone ancora dormono. E’ uno dei miei momenti preferiti.»
    Oh. Puoi capirla, eccome se puoi capirla. Pieghi il capo di lato e lo poggi sulle ginocchia, mentre continui a mangiare. Ogni volta che mastichi la visuale su Hollie si alza e si abbassa.
    «Era così fino a qualche giorno fa.» Prendi un altro biscotto e lo mordi. «Era bellissimo.»
    Lo dici con un tono che tradisce la nostalgia di quei momenti. Odi le folle, il caos, la gente. Ami stare tranquillo, sentire la natura, suonare, scrivere e, soprattutto, sentire i tuoi pensieri, pensieri che nel chiacchiericcio continuo si disperdono, sfuggono via come il vento tra le dita.
    Ad ogni modo...
    «Ci sono un po’ di posti tranquilli. Li ho scoperti. Poi ti ci porto.» Lo dici con una naturalezza disarmante, mentre dai un altro morso al biscotto.
    Sei una contraddizione vivente, Ragnar. Sembri così maturo quando parli, ma così bambino fuori, soprattutto ora, rannicchiato sulle tue gambe, mentre mangiucchi e sbatti gli occhi.
    Altri direbbero stravagante, alcuni strano, con eccezione negativa. A te neanche passa per il cervello che qualcuno possa davvero pensare queste cose o fare commenti su di te.
    «Li ha fatti mia madre.»
    «Tu madre…» ripeti.
    Ti chiedi se anche la tua era in grado di farli. Anzi, prima ti domandi se anche tu hai mai avuto una madre, da qualche parte. Metti in bocca l’ultimo pezzo di biscotto, mastichi, ingoi e poi ti sollevi.
    «È brava tua mamma. In orfanotrofio fanno tutti schifo. Duri e insapore.» La tua espressione, sempre piatta, questa volta si fa schifata per un attimo solo.

    Quando Hollie inizia a leggere, senti il cuore accelerare un po’. Intrecci le dita delle mani e le porti sopra la testa, come ad aggrapparti.
    Le tue iridi da lupo l’osservano con attenzione. Ogni minima espressione involontaria, il movimento delle sue labbra carnose mentre leggere. In momenti diversi, avresti notato quanto la sua bocca sia perfetta. Dopotutto notare i particolari è il tuo forte, ma adesso sei troppo concentrato sul momento in cui ti darà il suo parere.
    Lei alza il capo e tu stendi la schiena di rimando, in attesa.
    «Che poetico…» Sussurra.
    Rimani interdetto per qualche secondo, Ragnar. Sbatti le palpebre. Hai sentito bene, no? Eppure non dici nulla.
    «Mi piace davvero tanto.»
    A quelle parole prendi un respiro. I tuoi occhi brillano ancora più intensi, anche se non sorridi. Roy e Dylan te lo dicono sempre che sei troppo serio, che dovresti imparare ad essere più espressivo, ma onestamente non capisci bene cosa dicono. Tu ridi, ti preoccupi, gioisci. Lo sai, lo senti e tanto ti basta.
    Si complimenta di nuovo con te.
    «Grazie» dici.
    «Hai già pubblicato qualcosa? Se sì, mi piacerebbe leggerlo.»
    Quella domanda ti rende ancora più felice. Questa volta spalanchi appena gli occhi. «Pensi che sia pronto per pubblicare? Cioè, mi pubblicherebbe qualche editore?»
    Non hai mai provato a inviare niente a nessuno. Hai scritto dei racconti, ma sai che piazzarli è difficile. Questo è il primo romanzo che ti impegni sul serio a scrivere. E se lo hai fatto è solo grazie a lei.
    Scuoti il capo. «È il primo romanzo che scrivo. L'ho iniziato grazie a te.»
    Come al solito non ti spieghi. Ma è vedendo i suoi lavori che hai trovato la forza per fare il passo successivo. Ti sei detto che, forse, anche tu potevi provarci. Che, forse, anche tu potevi avere una possibilità.
    «Ti va di fare una passeggiata?» Lei allarga le braccia e la maglietta le si alza ancora di più sulla pancia. Sembra voglia abbracciare il mondo.
    La guardi piegando leggermente il capo. Ti mette allegria, quella ragazza.
    «Sei così… luminosa» dici senza mezzi termini. Naturale come al tuo solito. Poi annuisci, e mentre allunghi le braccia in alto per sgranchirti dici: «Mi va.»
    Ti alzi e prendete a camminare. Sei curioso.
    «Hol…» Ti blocchi. Non le hai mai chiesto come vuole essere chiamata, lo noti solo ora. «Preferisci Hollie, Esmeralda o Camilla?»
    Per quanto riguarda te, invece, non ha importanza come ti chiamino, tanto sei un senza nome. Ragnar Crossinight ti è stato assegnato dall’orfanotrofio non sapendo chi fossi e te lo sei tenuto. Neanche ricordi se avessi un nome diverso, prima. Non ricordi nulla.

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    Lei e Ragnar avevano in comune molte più cose di quanto entrambi pensassero, proprio come quella.
    Lui le ombre, lei le fiamme. Due mondi diametralmente opposti: buio e luce. La calma delle tenebre e la dirompenza del fuoco. Anche senza sapere delle loro nature così simili, dal suo discorso poté percepire una certa similitudine nei loro pensieri. E la cosa le fece un immenso piacere. Certo, aveva una schiera di fratelli con cui condividere quella particolarità, ma erano famiglia… era molto diverso che poterne parlare con qualcuno di “estraneo”.
    «Forse ho capito» Accennò, scavando nella sua mente per trovare un esempio che potesse calzare in quella situazione.
    «Magari penserai che sia stupido, ma… quando sono a casa, mi piace fissare il fuoco» E subito dopo averlo detto, allungò le braccia verso di lui, volgendo in sua direzione i palmi, come a voler stoppare qualsiasi eventuale giudizio.
    «Sembro strana forse, ma ognuno dei nostri caminetti sembra diverso… mi pare che ogni fiamma abbia una sua danza, inaccessibile a chiunque altro» Spiegò dunque, sperando di risultare più normale di quanto si sentisse, anche se non sempre la normalità poteva essere un pregio.
    «Non sei tornato a casa?» Le venne subito da chiedere, non conoscendo altre realtà oltre la sua piccola bolla felice, anche se come scrittrice, avrebbe dovuto esplorare altri mondi. Lei quando tornava a casa non aveva un minuto di silenzio, quindi doveva essere così per tutti. Perciò se aveva vissuto il silenzio, secondo lei, non si era mosso da Hogwarts.
    «Mi farebbe molto piacere. Ho una famiglia rumorosa tanto quanto i compagni, ogni tanto mi piacerebbe trovare un po’ di calma» Spiegò con serietà, osservando ogni movimento del concasato, chiedendosi a cosa stesse pensando e se la sua famiglia fosse un connubio di allegria ed esplosività come la propria.
    Qualche attimo dopo, si sentì molto stupida per le sue affermazioni ed avrebbe voluto rimangiarsi tutto, ma sarebbe stato ancora peggio iniziare a balbettare scuse. Perciò rimase in silenzio per un attimo, raccogliendo i pensieri.
    «La prossima volta me ne faccio mandare di più, allora» Scelse di rispondere così, inclinando appena la testa e sorridendo, solare. Pensò che la via migliore non fosse quella della compassione -essere compatiti non piace a nessuno- e della pena, quanto più, pensò, il modo migliore fosse non farlo sentire diverso, sbagliato. Hollie era fatta così.
    Comunque, poco dopo tutto il mondo si avvolge in una bolla di calma e silenzio, mentre leggeva le poche righe che le aveva passato il riccio, rapita da ogni singola parola. Si era immersa così tanto, che le sembrava di essere un’anima volteggiante tra i corpi dei due personaggi presenti in quella scena.
    Quindi, decise di dirgli esattamente ciò a cui stava pensando. Non si trattò di indorare la pillola per criticare il suo pezzo, perché non ve n’era motivo. Le era piaciuto.
    «Certo che lo penso… sennò non te lo avrei chiesto!» Lo rassicurò, annuendo con vigore, prima che un’idea facesse capolino nella sua mente. Sentì il bisogno di condividerlo.
    «Senti… mio padre conosce diversi editori sia babbani che magici, posso parlargli. Ovviamente solo come aggancio, ti prometto che saranno sinceri anche loro nel valutarti». Non voleva che lui pensasse che stesse cercando di riservargli un trattamento di favore e, magari, un modo per pubblicare il suo libro anche se non lo meritava. Voleva solamente aiutarlo a trovare qualcuno disposto a spendere del tempo per leggere il suo scritto.
    La sua successiva affermazione, fa sì che le sue guance si colorino della stessa tonalità pesca di cui si sono tinte a lezione.
    «Grazie a me…?» Sussurrò, sentendosi contemporaneamente lusingata ed imbarazzata. «Hai letto i miei libri?» Domandò, gli occhi ancora più luminosi di prima. Aveva avuto un notevole successo, ma sapere che aveva tanti fan per il paese, non era paragonabile al sapere di essere ammirata da qualcuno che conosceva, da un suo compagno di classe.
    Nella felicità del momento, quindi, si alzò tutta contenta, allargando le braccia e proponendogli di fare una passeggiata assieme, immergendosi nella meraviglia di quel paesaggio incontaminato.
    «Rag, ho sei fratelli… ho dovuto esserlo per emergere». Ridacchiò alla propria affermazione, anche se si sentiva ancor più lusingata. In effetti, per far sentire la sua voce in mezzo a sei maschi, aveva dovuto scalciare parecchio.
    Quindi, quando anche lui si fu alzato, iniziarono a camminare senza meta, percorrendo la riva del lago. Si rilassò sentendo il lieve sciabordio dell’acqua. Avrebbe volentieri fatto un bagno, ma temeva che le acque fossero ancora troppo fredde.
    «Ti prego, non chiamarmi mai Esmeralda» Rise di una risata leggera e cristallina, mentre svelava quanto poco le piacesse il suo primo nome. «Lo ha scelto mio padre, ma non lo usa nessuno… per fortuna» Aggiunse, spostando lo sguardo verso l’orizzonte, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
    «Puoi chiamarmi Hollie se ti piace, oppure Cammie. Come preferisci» Acconsentì, alzando nuovamente le braccia al cielo in un moto di allegria. Quel mondo le metteva felicità, stare lontana dai problemi le metteva felicità. Cercò di non pensare a Vincent, avrebbe rovinato l’atmosfera. Tornò a voltarsi verso di lui, chiedendosi se potesse fidarsi e, prima o poi, raccontarglielo. Sembrava così facile avere fiducia negli altri, in quel posto.
    Improvvisamente, le dita sottili scattarono verso l’altro si avvolsero attorno al suo polso con naturalezza, mentre i piedi di Cammie iniziarono a muoversi verso la spiaggia di sassi, cauta per non rischiare di prendersi una storta, arrivando fino alla riva. Si fermò poco prima che l’acqua le lambisse le caviglie. Tirò fuori il suo magifonino ed avvolse un braccio attorno alle spalle di Ragnar.
    «Sorridi!» E, dopo un paio di secondi, premette al centro dello schermo, immortalando per sempre quel momento. Il sole era ancora abbastanza basso da sembrare stesse per abbracciarli, quindi aveva sentito il bisogno di fermare quell’attimo nel tempo. Sperò che a lui non dispiacesse.

     
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    «Forse ho capito» ti dice.
    Alzi gli occhi ambrati su di lei e scorgi il tuo riflesso nei suoi occhi celesti.
    «Magari penserai che sia stupido, ma… quando sono a casa, mi piace fissare il fuoco. Sembro strana forse, ma ognuno dei nostri caminetti sembra diverso… mi pare che ogni fiamma abbia una sua danza, inaccessibile a chiunque altro.»
    Adesso anche tu hai compreso. Siete uguali, ma anche diversi. Annuisci due volte, poi le indichi la sua ombra con gli occhi. Allacci il tuo potere a quella tenebra e la sua ombra per un attimo si tramuta in quella di un fiore.
    Poi lasci andare la presa e l’ombra ritorna a calcare la sua sagoma. Osservi ogni espressione che compare sul volto di Hollie. Sei curioso di conoscere la sua reazione a quello che le hai appena mostrato.
    «Non sei tornato a casa?»
    Ti limiti a scuotere il capo e un ciuffo riccio ti ricade davanti al viso. Lo tiri all’indietro con un gesto della mano.
    «Mi farebbe molto piacere. Ho una famiglia rumorosa tanto quanto i compagni, ogni tanto mi piacerebbe trovare un po’ di calma.»
    Annuisci. «Anche da me siamo numerosi, ma non è la mia famiglia.»
    Neanche sai bene quanti siete in orfanotrofio, ma abbastanza per non avere un attimo di pace, se non nella stanza singola che sei riuscito a farti dare.
    «La prossima volta me ne faccio mandare di più, allora.»
    I tuoi occhi sorridono, luminosi. «Grazie.»
    Lo sussurri e non solo per i biscotti, ma per il garbo con cui ha reagito alla tua condizione. Non che ti avrebbe toccato più di tanto se ti avesse compatito. Quelle cose ti scivolano addosso come olio, però noti la sua gentilezza anche in quelle piccole accortezze.
    Proprio come gentile è nel decidere di dedicarti un po’ di tempo a leggere quello che scrivi. Dopotutto non è tenuto a farlo, eppure lo fa. La vedi come gusta ogni parola, come indugia su ogni frase.
    «Certo che lo penso… sennò non te lo avrei chiesto! Senti… mio padre conosce diversi editori sia babbani che magici, posso parlargli. Ovviamente solo come aggancio, ti prometto che saranno sinceri anche loro nel valutarti.»
    Sgrani appena gli occhi e la tua maschera imperturbabile si intacca ancora un po’. Da una parte ti senti grato, dall’altra il dubbio si insinua in te. Nella tua breve vita se hai imparato una cosa è che la gente difficilmente fa qualcosa per gli altri senza avere un tornaconto. Quindi…
    «Perché lo faresti per me?»
    Può esistere, invece, gente che faccia le cose solo per aiutare il prossimo? Se è così, allora devi ringraziare di nuovo Hollie, perché ti ha fatto scoprire una cosa nuova, ti ha insegnato una cosa nuova, ti ha mostrato che esiste anche speranza.
    Inclini il capo di lato quando vedi l’imbarazzo imporporare le guance della ragazza. Sotto la luce tenue del sole, adesso ti sembra ancora più luminosa, più bella avresti detto se fossi stato in grado di interpretare ciò che senti.
    «Grazie a me…? Hai letto i miei libri?»
    Riporti il capo dritto e annuisci. «Ovvio. Sono bellissimi. Mi hai dato speranza.»
    Ricordi che prima all’orfanotrofio e poi in Russia molti ti allontanavano perché dicevano che eri inquietante.
    “Parli senza filtri, fai paura…” ti ripetevano.
    Non hai mai compreso, ne hai perso troppo tempo a riflettere su quelle cose. Però una cosa te la sei detta: perché non dire ciò che si pensa? Quindi tutti, intorno a te, continuano a mentire e a distorcere un po’ i propri pensieri?
    Ecco che hai iniziato a pensare come quel mondo non ti piacesse più di tanto, come i rapporti fossero frivoli e coltivarli non fosse necessario per te.
    Poi hai conosciuto Roy e Dylan, gli unici che non hanno respinto il tuo modo di essere e ti sei detto che forse con loro un po’ di tempo potevi passarlo.
    «Rag, ho sei fratelli… ho dovuto esserlo per emergere.»
    La fissi per qualche secondo e poi scuoti la testa. «No, ti sbagli.» Non c’è rimprovero o superiorità nella tua voce. «Non si è luminosi per necessità, ma perché lo si è qui.»
    Senza toccarla le indichi il cuore con l’indice. Se non lo hai dentro, non esce niente, anche se ci provi. Anche tu sei cresciuto in mezzo a tantissime persone, eppure non sei luminoso, sei scuro come le tenebre, solitario come gli omega.
    Non sai, però, Ragnar, che alcuni invece sono abbagliati dalla tua luminosità. Che attiri gli sguardi come la luce attira le falene. Che dentro di te c’è una purezza che traspare oltre l’alone di mistero che ti circonda.
    «Ti prego, non chiamarmi mai Esmeralda. Puoi chiamarmi Hollie se ti piace, oppure Cammie. Come preferisci»
    Annuisci. Evidentemente non le piace. Esmeralda.
    «Eppure, suona così luminoso “Esmeralda”.» Proprio come lei. In ogni caso, non sei lì per contraddirla. «Ti chiamerò Cami, allora.»
    Soffi quella decisione nell’aria mattutina.
    State camminando quando lei ti afferra il polso. I tuoi occhi ambrati scattano sulla sua mano e poi sul suo volto. Incuriosito, non ti scansi, ti lasci trascinare verso la riva del lago, finché lei non tira fuori il magifonino, ti avvolge le spalle con un braccio e lo alza davanti a voi.
    «Sorridi!»
    Sorridi? Come ti dicono sempre Dylan e Roy. Ovviamente tu sorridi, ma nella foto appari con la solita espressione piatta, anche se chi sa osservare, può notare una luce negli occhi.
    Tiri fuori il tuo Magifonino. Uno dei primi modelli usciti. Abbastanza vecchio, la cromatura è scorticata sui lati e, in alcuni punti, anche dietro. Però funziona ancora e tanto ti basta.
    «Me la invii?» Le dai il tuo numero e aspetti che ti arrivi. «Posso salvarti in rubrica?»
    Glielo chiedi. In fin dei conti è una decisione che spetta a lei. Sicuramente avere il suo numero vi potrà permettere di tenervi in contatto e vedervi anche senza attendere il caso.
    Riponi in tasca il telefono, ti accovacci e afferri una pietra piatta. Ti sollevi, carichi il braccio all’indietro e la scagli contro la superficie placida del lago.
    Salta sei volte. Cerchi concentrici si diramano dai punti in cui la pietra ha toccato l’acqua. Per un attimo ti torna alla mente quando con l’acqua hai dovuto spegnere il tuo compagno che aveva preso fuoco, per colpa tua, per la tua curiosità insaziabile.
    Sei qui a Hogwarts perché a Koldovstoretz sei stato espulso, anche se il ragazzo si è salvato e ora sta bene. Sposti soltanto le tue iridi ambrate su Cami e l’osservi.
    Chissà, se ci fosse stata lei, con il suo potere, avrebbe potuto estinguere le fiamme prima ancora che potessero recare danni permanenti.
    «Sai fare saltare le pietre?» dici invece.

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    Gli zaffiri di Hollie si posarono sulla propria ombra, come da indicazioni del ragazzo. Sulle prime, non capì che cosa volesse farle vedere… certo, stavano parlando delle ombre, però poi non avrebbe immaginato il resto.
    Stava per fargli a voce quella domanda, ma un attimo dopo la sua ombra si tramutò in quella di un fiore. Chiaramente, era nera… ma, concentrandosi, riusciva a figurarsi i suoi colori sgargianti, associandoli alla propria personalità scoppiettante e, a tratti, severa. Forse sarebbe di un acceso rosa con sfumature di turchese. Era un pensiero così divertente e poetico, che prima o poi lo avrebbe condiviso con lui, ma per il momento era abbastanza stupita di ciò che aveva fatto… ma non spaventata. Quindi la confessione successiva, appena le ombre tornarono normali, le venne naturale, come se stesse parlando con una delle persone che conosceva da sempre, come Tristan.
    «Anche io posso farlo, solo che… non te lo posso dimostrare» Lo disse con tutta l’umiltà possibile perché non voleva passasse il messaggio che stesse sminuendo le sue abilità, anzi voleva fargli capire davvero quanto fossero simili. Che non aveva paura di lui, che non sarebbe scappata dopo quella scoperta.
    «Solo che lo faccio con il fuoco» Aggiunse, con un brivido che le percorse la schiena da cima a fondo. Ogni tanto si arrischiava di farlo con il caminetto della sala comune quando non c’era nessuno, oppure con quelli di casa… anche se più raramente, visto che alle Hawaii faceva caldo per la maggior parte dell’anno.
    Le dispiacque davvero molto sentire che lui non aveva una famiglia, nonostante fosse circondato da molte persone. Per fortuna non poteva capire totalmente cosa significasse, perché la sua non le aveva mai fatto mancare nulla, tantomeno l’amore. Però ebbe la delicatezza di non farglielo presente, non sapendo come avrebbe potuto reagire. Altresì, cercò di essere comprensiva ma non calcare sul punto, per non farlo sentire ancor più a disagio di quanto già magari non fosse.
    Le venne naturale, quindi, offrirgli tutto ciò che una famiglia avrebbe potuto dargli, a partire da una semplice infornata di biscotti che, dopo quella conversazione, avrebbe imparato a non dare per scontata.
    Nella sua buona fede, Hollie un po’ si stupì della sua giusta risposta, ma un sorrisone le comparve sul volto ad illuminarglielo come un raggio di sole.
    «Perché è questo che fanno gli amici» Si limitò a rispondere, stringendosi nelle spalle. Non aveva bisogno di niente in cambio: aveva soldi, aveva amici ed aveva tutto l’amore che potesse desiderare, in pratica aveva la vita che tutti sognavano. Ma c’era anche un altro motivo.
    «Non lo faccio perché voglio qualcosa. Ma sono anche io una scrittrice e forse non sarei mai emersa se non fosse stato per il mio papà. So cosa significa e tutti abbiamo bisogno di qualcuno» Spiegò quindi, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Certo non era così ingenua da credere che le cose andassero sempre così, soprattutto da quando aveva conosciuto Vincent, che le aveva offerto le sue immense conoscenze in cambio di attenzioni sgradevoli e completamente indesiderate.
    Tuttavia, non è preparata a quelle parole, che sembrano molto diverse dalla mentalità di un ragazzino della loro età. Anche questo contribuisce a renderla un po’ più contenta ed emozionata. E’ il primo “fan” con il quale riusciva a stabilire un rapporto che andasse oltre il semplice autografo, le quattro chiacchiere e la foto insieme. Amava sapere di essergli stata di ispirazione, di avergli dato una speranza.
    «Sempre a vostra disposizione, messere» Scherzò, fingendo un rudimentale inchino, ridacchiando subito dopo. Non poteva leggergli il pensiero ma se glielo avesse chiesto, gli avrebbe raccontato che vivendo con sette uomini, le conversazioni senza filtri erano all’ordine del giorno, quindi praticamente nulla era in grado di intimorirla.
    Alla sua negazione, inclinò appena la testa, chiedendosi che cosa volesse dire.
    Di riflesso, posò la mano sul cuore, esattamente dove lui le stava indicando.
    Non voleva dirgli che lei non era sempre così solare e che per tanto tempo una maschera di durezza aveva nascosto il suo sorriso. Ma c’erano occasioni in cui non riusciva proprio a mantenere il velo di distacco, esattamente come quello… davanti ad un’alba meravigliosa.
    «Credo tu abbia ragione» Confermò, riflessiva. Apprezzava la sua visione delle cose ed avrebbe dovuto rifletterci. Era vero che aveva dovuto combattere per emergere, ma doveva esserci una predisposizione naturale, altrimenti non ci sarebbe mai riuscita.
    «Lo so ma… fin da piccola mi prendono in giro per questo nome, perciò preferisco non usarlo» Confessò, abbassando lo sguardo. In effetti “Esmeralda” non era un nome convenzionale, molto atipico. Conoscendo suo padre, glielo aveva dato dopo aver visto il film babbano “Il gobbo di notre dame”, vista la sua predisposizione alla curiosità ed all’amore per tutto ciò che fosse privo di magia.
    «Cami» Ripeté in un sussurro, annuendo tra sé. «Mi piace». Nessuno l’aveva mai chiamata così -a dire il vero, non aveva mai pensato di farsi abbreviare a quel modo- ma doveva ammettere che fosse musicale. Le piaceva davvero.
    Le piaceva come le piaceva quella meravigliosa alba che agli occhi di tutti doveva essere uguale a qualsiasi altra alba, ma ai suoi aveva un qualcosa in più, qualcosa di speciale. Come per esempio il condividerla con qualcuno che potesse, in un certo senso, capirla. Ed è per questo che volle immortalare il momento.
    Quando ebbe scattato, si fermò un attimo ad osservare la foto, trovandola perfetta nella sua imperfezione.
    Successivamente, lo guardò con curiosità.
    «Te la invio subito» Iniziò, scrivendo il numero che lui le stava dettando, ed inviandogliela su (magi)whatsapp.
    «Certo che puoi» Acconsentì senza alcun problema, bloccando lo schermo del proprio magifonino e riponendolo in tasca, dove lo avrebbe dimenticato per ore, probabilmente.
    Lui fece lo stesso, poi si chinò e prese una pietra piatta e così bianca che sembrò luccicare al sole.
    Osservò quindi il tiro ed i successivi rimbalzi, ammirata. Nonostante nella loro immensa tenuta avessero anche un laghetto, i sassi adatti a quel tipo di attività scarseggiavano, perciò probabilmente non ci aveva mai provato davvero. Né aveva mai sentito interesse nel farlo… fino a quel momento, in cui l’attività le sembrava la più bella al mondo.
    «Non credo…» Tentennò, accovacciandosi a sua volta e raccogliendo il sasso che le sembrava più piatto degli altri, anche se forse lo era meno di quello che aveva preso Ragnar.
    Quindi piegò il braccio al meglio delle possibilità e tirò. Il sasso, tuttavia, fece a malapena mezzo balzetto ed affondò penosamente nelle profondità del lago.
    «No infatti, credo di essere proprio imbranata» Ridacchiò, osservando la superficie finché tornò liscia, come se nulla l’avesse penetrata.


     
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    «Anche io posso farlo, solo che… non te lo posso dimostrare. Solo che lo faccio con il fuoco.»
    Oh. Inclini il capo di lato, Ragnar. Non hai mai visto nessuno manipolare il fuoco senza bacchetta. Sei curioso, ora, estremamente curioso.
    «In Sala Comune. Qualche volta fammelo vedere lì.»
    Ti chiedi cosa si prova ad essere un Elementale del fuoco. Tu senti le ombre tutto intorno a te, le percepisci come se fossero un prolungamento del tuo corpo. Ma con il fuoco? Riuscivano a sentire un qualche tipo di connessione anche con il sole, oppure no?
    La tua curiosità è partita al galoppo. Hai un sacco di domande, ma le tieni tutte per te. Le porrai quando sarà il momento più opportuno, oppure forse no. Sei sempre imprevedibile, tu.

    Stai ancora cercando di capire come mai ti dovrebbe aiutare con il libro e la sua risposta è così semplice e genuina, che sbatti gli occhi per qualche secondo.
    «Non lo faccio perché voglio qualcosa. Ma sono anche io una scrittrice e forse non sarei mai emersa se non fosse stato per il mio papà. So cosa significa e tutti abbiamo bisogno di qualcuno.»
    A quella spiegazione annuisci due volte. Tu non sai quanto la vita può essere facile con qualcuno che si prende cura di te e ti da una mano. Qualcuno come un genitore o un amico. Sei abituato a cavartela da solo e a non chiedere niente a nessuno. Ecco perché ti sembra tutto così strano.
    «Grazie» dici soltanto.

    Ti sembra felice, Hollie, quando le dici che è merito suo se hai iniziato a scrivere un romanzo. Lo noti dal modo in cui le si illuminano gli occhi. L’osservi battendo piano le palpebre.
    «Sempre a vostra disposizione, messere.» Lei finge un rudimentale inchino e tu annuisci, come in risposta a quel gesto.
    Ancor di più pensi che sia luminosa, estremamente luminosa. Osservi come lei segue con lo sguardo il tuo dito che le indica il cuore. Rimane in silenzio per qualche motivo. Forse non è d’accordo con te, Ragnar?
    «Credo tu abbia ragione.» Con quelle parole smentisce le tue preoccupazioni.
    Iniziate a camminare, infili le mani in tasca. Sei freddoloso, soprattutto con il fresco che fa a quell’ora della mattina.
    «Lo so ma… fin da piccola mi prendono in giro per questo nome, perciò preferisco non usarlo.»
    «In giro?» Inclini il capo di lato e la guardi. Sai cosa significa in giro. Nell’orfanotrofio è pieno di gente che prende in giro altra gente. Stranamente con te non l’hanno mai fatto, anzi, sono sempre sembrati un po’ spaventati dall’aura che ti circondava. «Cos’ha che non va, scusa?»
    Lo dici con tutta l’innocenza del mondo. A te piace, ma la chiamerai Cami, visto che preferisce.
    «Cami. Mi piace.»
    Ti porti una mano nei capelli, Ragnar, e gli arruffi ancora di più. Sei contento le piaccia. Suona bene “Cami”, è musicale come le note del tuo flauto.

    Avete fatto la foto e state armeggiando con i Magifonini.
    «Te la invio subito.»
    Il telefono ti vibra e arriva la notifica di magiwa. La apri e l’osservi per qualche secondo. È luminosa anche la foto. Sorridi con gli occhi.
    «Certo che puoi» ti dice.
    Allora, con pochi tocchi, salvi il suo numero. Cami, con di fianco l’emoticon del sole. Poi fai sparire il telefono nei jeans.

    Sei soddisfatto dei salti che sei riuscito a far fare al sasso.
    «Non credo…» Cami ne afferra uno.
    È un po’ troppo poco piatto, però la lasci fare. Vuoi vedere la tecnica di lancio, perché alla fine sta tutto lì. Ti sei allenato spesso nell’ultimo anno e mezzo. Ti piacciono queste sponde, vedere la superficie placida del lago, sentirne lo scroscio leggero sulla battigia.
    Quando lancia, sai ancora prima di vederlo che quel sasso non andrà lontano. Affonda subito.
    «No infatti, credo di essere proprio imbranata»
    Scuoti il capo verso di lei. «Non si tratta di essere imbranati.»
    Se non l’aveva mai fatto era normale. Ti pieghi sulle ginocchia e le fai cenno di fare altrettanto. Afferri due sassi e li mostri a lei. Quello nel palmo sinistro è liscio, quasi perfettamente rotondo e piatto in modo uniforme. Anche l’altro è piatto, ma non con la stessa uniformità.
    «Come prima cosa devi scegliere il sasso giusto. Vedi la differenza tra i due? Prendi quello uniforme, non soltanto piatto e liscio. La natura, a volte, sa creare cose quasi perfette. Prendi.»
    Le passi quello giusto e quando vi alzate ti poni dietro di lei. Dalle spalle le posizioni il sasso nella mano, facendole vedere per bene come impugnarlo.
    «Una volta afferrato, tiri il braccio all’indietro in questo modo,» la guidi nel movimento, «e poi lo rilasci in avanti così.»
    Le pari da sopra il collo, di fianco al viso. Il suo profumo ti avvolge. Lo trovi davvero piacevole, Rag.
    Sposti il suo braccio lungo tutto il processo, in modo lento, per farle capire. Le vostre mani si toccano più volte e, a differenza tua che sei tenebra fredda, lei è calda come il fuoco, ma anche morbida e liscia.
    I tuoi occhi ambrati si fissano nei suoi celesti. Sei ancora dietro di lei.
    «Tutto chiaro?» sussurri poi. Alla fine, ti sposti due passi di lato. «Prova ora.»

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    Non aveva mai parlato a nessuno delle sue capacità; gli unici ad esserne a conoscenza erano i suoi fratelli, il suo migliore amico ed i suoi genitori. Nemmeno quel pervertito di Vincent ne era a conoscenza. Aveva pensato che tenendolo per sé, non sarebbe mai stata completamente sua, avrebbe sempre avuto un’arma per contrastarlo. Qualcosa di lei che lui non avrebbe mai potuto controllare.
    Non aveva in previsione di parlarne con nessuno, lì a scuola. E non lo avrebbe fatto nemmeno con Ragnar, se lui non le avesse mostrato la sua stessa capacità, ma con le ombre. Era stata una cosa che non si sarebbe mai aspettata, ma che l’aveva alleggerita di un peso che non si sarebbe mai detto stesse portando. Non era solita mostrare troppe sue debolezze, e quella era compresa.
    «Senz’altro. Quando gli altri non ci sono» Pregò, regalandogli un sorriso sincero, molto differente da quelli di cortesia che era abituata a tirar fuori per far contenti coloro che la circondavano e per omologarsi a quella società che non ammetteva la tristezza, tacciandola come una debolezza troppo grande da sopportare per chiunque.
    Una volta archiviato momentaneamente quell’argomento, iniziarono a parlare del libro di lui che lei sarebbe stata entusiasta di leggere, nonché di aiutarlo a pubblicarlo. Non aveva mai visto l’avere genitori con importanti conoscenze, come un vanto… ma se poteva usarle a fin di bene, non si sarebbe tirata indietro. E quella era una di quelle circostanze in cui le avrebbe usate volentieri. Se il mondo avesse ottenuto un nuovo libro degno di essere comprato, lei avrebbe aiutato.

    I loro passi producevano dei piccoli rimbombi sui sassi che circondavano il Lago Nero e le loro voci erano un piccolo eco in quel mondo albeggiante.
    «Non è un nome molto convenzionale» Spiegò, infilandosi le mani in tasca per proteggere le fragili dita dalle ondate di freddo che ogni tanto li avvolgono. Si strinse nelle spalle, girando il viso ed incrociando il suo sguardo. Le sue iridi trasmettevano sincerità.
    «Le persone sono così cattive con qualcuno che ha qualcosa di… diverso» Non ha mai sofferto eccessivamente di quelle prese in giro, ha sempre avuto una schiera di fratelli pronti a difenderla a spada tratta. Era una cosa bella, anche se a volte poteva diventare opprimente. Per esempio la maggior parte delle volte che provava ad uscire con un ragazzo, loro erano sempre pronti a spaventarlo abbastanza perché questi si rifiuti di uscire di nuovo con lei, accampando scuse assurde la maggior parte delle volte.
    «Ma non importa, non piace tanto nemmeno a me. Te l’ho detto che mio padre lo ha preso da un film babbano?» Chiese, in seguito, estraendo le mani dalle tasche quel tanto necessario per trascinarlo vicino alla riva e scattare la foto che ritraeva loro con, alle spalle, un’alba mozzafiato. Era una rarità, a Londra, ma alle Hawaii nella loro tenuta, ancora incontaminata, non era raro che si alzasse presto per assistere al sorgere del sole e a quell’esplosione di giallo ed arancione che abbracciava il mondo, prima che esso riprendesse a vivere con la propria routine.

    Osservando il suo sasso affondare senza aver fatto nemmeno un rimbalzo, si rese conto di quanto un’attività che sembrava semplice, risultasse in realtà complicata. Era straordinario rendersene conto.
    Quando lui le parlò, annuì e copiò i suoi movimenti, trovandosi chinata sulla sponda del lago ad osservare i sassi che il ragazzo aveva tra le mani.
    «Okay» Acconsentì, prendendo il sasso perfettamente liscio ed uniforme, osservandolo per qualche secondo prima di alzarsi e rivolgere il proprio corpo verso il lago, notando come la superficie dell’acqua fosse tornata ad essere tanto uniforme quanto la pietra. Le increspature di prima sembravano solo un lontano ricordo.
    Senza che se lo aspettasse, distratta dallo spettacolo, lui le scivolò dietro, aiutandola ad impugnarlo nella maniera giusta. Arrossì appena, ma si concentrò per eseguire correttamente le sue indicazioni.
    Sentiva il suo respiro caldo sulla guancia. Sorrise ancora, annuendo alle sue parole e preparandosi al proprio tiro.
    «Tutto chiaro» Confermò la ragazza, saggiando la superficie liscia ancora per qualche secondo.
    Quando si rese conto che i loro corpi non erano più tanto vicini, dopo che lui si fu scostato per lasciarla provare, socchiuse gli occhi e si concentrò. Piegò all’indietro il braccio come lui le aveva fatto vedere ed attese qualche secondo prima di rilasciarlo e far schizzare il sasso. Piegò appena il polso, ruotandolo nel momento in cui si decise a lanciare l’oggetto.
    Stavolta non affondò al primo tocco con l’acqua ma fece addirittura due rimbalzi prima di perdersi nelle profondità marine.
    Cami congiunse le mani e saltellò sul posto, girandosi poi verso Ragnar.
    «Hai visto?» Esclamò allargando le braccia e cingendogli il collo in un abbraccio dettato dall’euforia. Avrebbe potuto sembrare esagerato, ma la ragazza aveva imparato a dare peso anche alle piccole cose, perché erano proprio loro che ti miglioravano la giornata.
    Prolungò la stretta per qualche altro secondo, beandosi di un contatto umano che non fosse quello della sua famiglia… o di Vincent.
    Alla fine, comunque, si discostò e si girò, voltandosi verso il lago, che scintillava sotto la luce nascente.
    «Andiamo a fare colazione?» Propose, rendendosi conto che mancava poco alle sette, orario in cui sarebbe stato servito il primo pasto della giornata.

     
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