What the heart doesn't say

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    16 YO | Grifondoro | veggentibus

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    tristy-tristy
    Sentiva il vuoto a pochi passi da lui. Incombente, pericoloso come mai, magnetico.
    Un tripudio di sensazioni che avrebbe spinto molti a darsela a gambe filate nella parte opposta rispetto a quella situazione non del tutto statica. Erano giorni che vagabondava per il castello, giocandosela con i fantasmi che svolazzavano con le loro leggere fattezze in ogni angolo della scuola, silenziosi guardiani al cui sguardo nulla sfuggiva. Della sua chiassosa risata, delle sue burle ad ogni cosa vantasse azioni cognitive, delle linguacce dispettose o dei grugniti esposti giusto per importunare il suo prossimo non vi era traccia.
    Le sue stesse presenze a lezione erano ridotte a miserabili silenzi che non erano proprio da lui. Più volte gli altri grifondoro avevano cercato di coinvolgerlo in stronzate degne di note, di scacciare via quella cappa di malumore che sembrava aver messo profonde radici nell'animo del giovane Crowley. Anche suo cugino Cassius doveva essersi accorto di quell'improvvisa rotta, lontana dal radioso caratteraccio che da sempre aveva contraddistinto Tristan - e l'essere stato quasi travolto da quella mandria di centauri, sbucati da quale diamine di buco, alla volta della Foresta Proibita non era stata che una lampante prova della preoccupazione del cugino più grande. Anche se Cassius aveva modi tutti suoi di trasmettere la sua preoccupazione, doveva ammettere che per un attimo aveva quasi creduto di morire sotto lo scalpitio rimbombante degli zoccoli di quelle ibride creature. O forse lo aveva semplicemente sperato.
    Già, sarebbe stata una liberazione.
    Che senso aveva la vita, dopo quanto successo in quella maledetta stanza della musica?
    La stessa dove adesso se ne stava lui, in un folle delirio di imperversare tutto ciò che provava, tra le confortanti mura della stanza che aveva visto un semplice incontro, trasformarsi in qualcosa di... inaspettato. Ira, rabbia, frustrazione. Erano quei sentimenti, da un paio di giorni, a governare il battito cardiaco del grifondoro, lasciandolo spesso privo di forze, quando la giornata voltava pagina accogliendo le tenebre della notte come una parsimoniosa e confortante amante. Il ritornello di una canzone uscita di recente, aveva fatto al caso suo fin da quando l'aveva udita. Non vi era nulla di meglio che definisse quella sua situazione instabile, precaria al punto tale da trascinarlo in un vortice di mutamento che non avrebbe mai creduto possibile.
    Il volto di lei ritornò prepotente tra i suoi pensieri, come un pugnale che affonda nella morbida carne, ricordandogli che non avrebbe mai avuto l'occasione che sperava; le risate, sempre di lei, a tuonargli una verità che gli avrebbe distrutto il cuore dopo averlo scalfito con l'ennesima crepa.
    Una fitta, una seconda, una terza.
    Erano quelle le pugnalate che da quel giorno avevano preso a trafiggerlo, come vendicatrici di un torto subito e il cui più grande desiderio era quello di colpirlo a morte, inconsapevoli che la fibra di un Crowley era corteccia dura da scorticare. Come amava sempre ricordargli Atticus, il dotto del tridente Crowley che aveva per cugini. Avrebbe chiesto consiglio perfino a Gareth, lui che sembrava sempre risoluto e inflessibile dinnanzi agli imprevisti della vita. E in più aveva anche una compagna, se quello che Cassius gli aveva raccontato era vero, quindi chi meglio del cugino poteva capire come comportarsi in una situazione come quella?
    Tristan, una scarna esperienza in merito sulle spalle, reagiva a modo suo.
    Forse un pò eccessivo ma dannatamente suo.
    Una stanza illuminata da faretti viola e blu, con i palloni da discoteca sul soffitto che illuminavano d'argento e luminescenze azzurrine il circondario della stanza, e dei passerotti adagiati sugli alti scaffali di una piccola libreria che aveva lasciato entrare dalla finestra e che sembravano gradire quelle note che vibravano di passione e frustrazione, al tempo stesso.
    Occhiali da sole per deflettere il rossore degli occhi, una bottiglia di whiskey incendiario nella destra come compagna solitaria in quella giornata, l'ennesima, grigia che avrebbe accolto il suo funesto dolore, inebriandolo di leggerezza e calore quando le labbra si adagiavano sul becco della bottiglia. Doveva essere decantato bene, dato che ogni sorso era come inghiottire lava fusa; un dolore nullo rispetto a ciò che stava affrontando ciò che gli pulsava in petto. Una piroette dopo pochi, sballati, passi di danza e un controllo del passo che non era degno di un'equilibrista, certo.
    Ma, dopo giorni, si sentiva bene. Davvero molto meglio.
    Sì, andava tutto bene. Stava reagendo nel modo più degno a tutta quella situazione assurda.

    Hollie <3
    Role ambientata la sera del 1 marzo.
    A te il compito di farlo rinsavire, amo ;__;

     
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    17 YO | Ravenclaw VI | Fire

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    Aveva appena finito di aiutare un suo compagno a studiare per un compito che si sarebbe tenuto l’indomani, quindi aveva deciso di fare una passeggiata per il castello, per rilassarsi prima di dormire. Il coprifuoco sarebbe scattato di lì a forse mezz’ora, ma aveva proprio bisogno di sgranchirsi le gambe dopo tutto quel tempo china sui libri con l’altro ragazzo, per quanto fosse stata un’attività utile per prepararsi al meglio per ciò che li aspettava il giorno dopo.
    L’inquietante silenzio dei corridoi di Hogwarts era sempre una novità per lei, dal momento che alla Stine Manor non vi era un angolo senza la confusione che producevano i suoi fratelli, sempre così vivaci e privi di vita. Non era propria abituata alla tranquillità che poteva trasudare dalle mura del castello e non era sicura che le piacesse davvero. Però, si ripeteva, un po’ di tranquillità avrebbe fatto comodo a chiunque, anche per poter pensare senza interferenze. Per esempio, di lì a qualche settimana sarebbe tornata a casa ed avrebbe finalmente riabbracciato i suoi fratelli, anche se non li vedeva da “solamente” un paio di mesi poco più. Tuttavia sarebbero anche riprese le lezioni con quel pervertito di Vincent e nonostante si fosse ripetuta fino allo stremo, che lo faceva per il proprio tornaconto, era pur sempre una ragazzina invischiata in una situazione più grande di lei. Tante volte avrebbe voluto avere la possibilità di parlarne con qualcuno, ma ne andava della sua dignità. Aveva spesso vacillato durante le lunghe conversazioni con Tristan, il suo migliore amico da tipo sempre, ma alla fine aveva deciso di mantenere per sé quella confessione, per quanto fosse un enorme peso da trasportare da sola.
    Ma per ancora tre settimane, sarebbe stata lontana dalle grinfie dell’uomo, quindi decise che ci avrebbe pensato solamente quando ne fosse venuto il momento. Felice nella sua convinzione, accelerò il passo per tornare verso il proprio dormitorio, quando un rumore proveniente da dietro l’angolo, distolse la sua attenzione da quel proposito.
    Quindi, spavalda, cambiò direzione e si diresse in quella dalla quale sembrava provenire il suono, finché non si trovò davanti una porta chiusa. Posò l’orecchio contro di essa ed oltre, sentì chiaramente le parole di una canzone che però non riconobbe, troppo vaghe per giungere alle sue orecchie con un senso compiuto.
    Decise, dunque, di abbassare la maniglia lentamente. Con sua sorpresa, la porta non parve opporre resistenza e si aprì senza un cigolio.
    Socchiuse gli occhi, colpita da una luce bluastra, decisamente diversa da quella esterna della sera, che penetrava dalle enorme vetrate della scuola. Batté più volte le palpebre per abituarsi alla colorazione della stanza, adornata con delle… palle da discoteca?
    E lì quasi al centro perfetto della stanza, un ragazzo con in mano una bottiglia di Whiskey. Stava eseguendo una specie di danza sgraziata che non aveva nulla di gradevole, la coordinazione sembrava essere venuta meno ormai da tempo, sebbene lei non fosse esperta di danza. Scosse la testa. Si avvicinò di qualche passo per capire di chi si trattasse, sicuramente non facilitata dalle strane luci della stanza.
    Una volta giunta a pochi metri dalla figura, si rese conto trattarsi di Tristan, il suo migliore amico. Rimase immobile per qualche secondo, la bacchetta nella mano destra, mentre una certa rabbia premeva sulle sue tempie e le faceva prudere la mano.
    Alla fine, decise di puntarsi la bacchetta alla gola.
    «Sonorus» Un sussurro appena udibile persino alle proprie orecchie, prima che la sua voce divenisse abbastanza alta da rischiare di spaccare i vetri.
    «TRISTAN AUGUSTUS HENRY CROWLEY» Lo appellò, constatando con un pizzico di goduria, che l’incantesimo aveva fatto il suo dovere, visto che la voce della bionda rimbombò tra le pareti della stanza. Fortunatamente i dormitori erano abbastanza lontani, sennò avrebbe attirato parecchia attenzione. Sperò che non vi fossero comunque professori nei paraggi.
    Aspettò che il ragazzo si girò verso di lui, prima di avvicinarsi a passo spedito e con uno sguardo che avrebbe fatto paura persino a Voldemort.
    Le dita di Cammie si allungarono in direzione del volto dell’altro, afferrando la stanghetta degli occhiali tra le sue dita sottili, lanciandoli nel vuoto. Precipitarono qualche metro più in là con un tonfo leggero.
    «Mi spieghi cosa diamine stai facendo?!» Domandò. La sua voce era tornata normale ma non per questo pareva meno minacciosa. Conosceva Tristan fin dalla tenera età, quindi lui sapeva di che cosa fosse capace e, soprattutto, che non stava scherzando per nessun motivo.
    La successiva mossa fu: con una mano gli puntò la bacchetta alla gola, mentre con l’altra gli prese la bottiglia. Aveva gli occhi ridotti a due crateri rossi, quindi chissà quanto aveva già bevuto.

     
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1 replies since 23/4/2024, 10:13   121 views
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